Gli scarti del Real

Roberto Beccantini14 agosto 2013

Non vi tedierò con l’analisi di una partita che non c’è stata se non alla fine, per un quarto d’ora. Tra la polvere e la polvere da sparo non poteva finire che così: e senza le acrobazie di Marchetti, sarebbe finita anche peggio. Italia in ginocchio: non dal papa, questa volta. Prandelli, lui, ha raccolto la pennellata di Insigne e le martellate di Diamanti. Tutto qui.

Non è neppure della qualità dell’Argentina – dalla cintola in su, soprattutto – che voglio parlarvi. Il calcio d’estate non va mai preso alla lettera. Semina dubbi, confonde le idee: raramente le cementa. Meglio andare sul sicuro. Meglio scrivere di Gonzalo Higuain.

Gira e rigira, all’Olimpico hanno segnato due del Napoli: Higuain e Insigne. Higuain, già. Fu Capello a volerlo al Real; e a difenderlo quando, acerbo e spaesato, trovava tutto tranne la porta. De Laurentiis l’ha pagato 37 milioni di euro più 3 milioni di bonus. Quanti gol gli avranno tolto Raul, Van Nistelrooy, Cristiano Ronaldo, Benzema, e quanti, viceversa, gliene avranno propiziati?

Il calcio è metà scienza e metà riffa, un po’ lavagna e un po’ destino. Va studiato ma non imprigionato. Higuain è l’ultimo scarto del Real. Scarto, come Arjen Robben, preso a 36,5 milioni di euro dal Chelsea e piazzato al Bayern per 25. E come Wesley Sneijder: dall’Ajax al Real per 27 milioni di euro e poi dal Real all’Inter per una quindicina.

A Madrid inseguono la «decima» dal 2002. Più fortunati, i rifiuti: Robben l’ha vinta al Bayern il maggio scorso, Sneijder con l’Inter nel 2010 (e proprio al Bernabeu, e proprio contro Robben). Il Napoli non è questo Bayern e neppure quella Inter: ciò premesso, sono curioso di vedere dove lo porterà Higuain, che mi piace molto, e dove Benitez porterà Higuain.

Lotita

Roberto Beccantini2 agosto 2013

Pur non essendo più minorenne da molte rate, Claudio Lotito-Lotita continua a esercitare un fascino pazzesco. Ci vorrebbe il talento di Vladimir Nabokov per aggiornarvi sui professori Humbert Humbert che non finiscono di sbavare per lui.

A gentile richiesta: questo è un Paese che non ha trattato per Aldo Moro ma per le imposte di Claudius, sì. E poi Franco Carraro: ai bei dì di Calciopoli, al telefono invitava chi di dovere a fargli un piacere, perché la Lazio, insomma, ci siamo capiti. Quindi, Silvio Berlusconi, il cui timor panico per un’eventuale retrocessione (della Lazio) produsse una visione dell’ordine pubblico casualmente vicina agli istinti della piazza.

E Maurizio Beretta? Un uomo solo al «comandato», occupa la presidenza della Lega per «sentito fare»: Lotita l’ha letteralmente stregato, come documenta la ripartizione sfacciatamente pro Lazio del bottino della Supercoppa con la Juventus (Roma, 18 agosto). Ora, il fatto che di mezzo ci sia la Juventus ha spinto e spingerà mezza Italia a tifare per il grande capo di Lazio e Salernitana: al massimo, un «povero» che ruba ai ricchi. Ma se al posto della Vecchia Arpia ci fossero stati cuccioli come il tenero Chievo e lo struggente Sassuolo?

Il caso Mauri, altro non è che l’ultima ciliegina. Imputato di illecito sportivo, se l’è cavata, in primo grado, con sei mesi di omessa denuncia. Eppure un giudice di Cremona aveva deciso di tenerlo in carcere per paura che inquinasse le prove. Chi ha sbagliato? La Lazio è passata trionfalmente dalla penalizzazione alla placabilissima multarella. E’ stata la commissione disciplinare, questa volta, a perdere la testa per il «ragionevole dubbio». Ce l’hanno fatta anche Omar Milanetto e il suo Genoa, che è poi il Genoa di Enrico Preziosi, colui che scampò alla radiazione con un accordo sotto banco.

Ma Lotito-Lotita rimane di un’altra categoria.

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La senti questa voce

Roberto Beccantini18 luglio 2013

Dieci anni fa, il 18 luglio 2003, ci lasciava Sandro Ciotti. Era stato tanto: buon mediano fino alla serie C, studioso di violino e pianoforte, scrittore di canzoni («Veronica» per Enzo Jannacci, fra le altre), regista cinematografico («Il profeta del gol», dedicato a Johan Cruijff), narratore di eventi, dalle Olimpiadi ai festival di Sanremo, dai Tour e i Giri alle partite di calcio.

Radio, televisione. La maledettissima sera del 3 settembre 1989, alla «Domenica sportiva», toccò proprio a Sandro comunicare in diretta la notizia della morte di Gaetano Scirea. Avevo appena lasciato lo stadio di Verona, dopo una vittoria della Juventus allenata da Dino Zoff, di cui Gai era l’assistente.

Sandro, che non aveva un carattere facile, fu cultura allo stato puro. E poi quella voce. Grattugiata, nasale, plasmata dalla nicotina, tana di un lessico che accompagnò le generazioni cresciute a pane e «Tutto il calcio minuto per minuto», come la mia. Un timbro made in Ciotti, appunto. Con il vocione di Enrico Ameri a far da sponda, quando non da avversario: perché sì, per essere grandi, servono (anche) rivali grandi.

I colletti obesi delle camicie, le «ventilazioni inapprezzabili», le lobellate davanti a ottantamila «testimoni»: sapeva rendere l’atmosfera, sapeva affascinare noi sudditi devoti. Le sue radiocronache hanno scolpito un’epoca, non meno delle perfide entrate a microfono teso sui colleghi invadenti o incontinenti.

Come tutti i maestri di genio, ha lasciato orfani ma non eredi. Attenzione: il calcio è stato l’ombelìco del suo mondo, non il suo mondo, i confini del quale svariavano tra l’epicedio in morte di Luigi Tenco e un’intervista esclusiva a Mina. «Catarro armato», arrivò a chiamarlo qualcuno. Spesso, ci si vedeva alle partite. Io aprivo gli stadi, piano; lui chiudeva le notti, al piano.

Ci sono voci che non si spengono mai, nemmeno dopo.

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